Presso la Facoltà di Economia dell’Università Politecnica di Ancona si è tenuto l’incontro di amicizia ebraico-cristiana di Ancona. Sono intervenuti Nahmiel Ahronee, Ministro di culto della Comunità ebraica di Ancona e Mons. Angelo Spina, Arcivescovo di Ancona-Osimo, per una riflessione a due voci sul rotolo del libro di Ester.
Di seguito viene riportato l’intervento dell’Arcivescovo:
È bello introdurre questo incontro sottolineando che negli anni trascorsi si è cercato di individuare un campo di collaborazione che potesse aiutare da parte cattolica la conoscenza dell’ebraismo come realtà vivente e non solo come memoria di fatti del passato e di porre l’attenzione anche su alcuni documenti della Chiesa cattolica, che hanno certamente segnato profondamente la comprensione dell’ebraismo e la teologia della Chiesa stessa.
Ormai il cammino è tracciato, quindi non possiamo che continuare sulle linee indicate con chiarezza dal magistero della Chiesa, il quale sottolinea sempre più il legame profondo e unico tra ebrei e cristiani e quindi anche la necessità di una reciproca conoscenza. Che cosa concretamente stiamo facendo in questi incontri? Con questa XXX Giornata di approfondimento del dialogo tra cattolici ed ebrei vogliamo aiutare tutti i fedeli delle nostre comunità a riscoprire il legame con l’ebraismo nella sua storia e nel suo presente in mezzo a noi. In un tempo in cui sembrano acuirsi le contrapposizioni, in cui il dialogo risulta più faticoso e quasi scelta debole, vorremmo invitare tutti a un impegno rinnovato, perché sia contrastata ogni forma di antisemitismo e di razzismo, e nella mutua comprensione possiamo contribuire a rendere possibile la convivenza e l’arricchimento reciproco delle comunità cristiane ed ebraiche. La diversità non sia mai motivo di inimicizia e di rifiuto, ma una ricchezza da condividere. Il dialogo è l’unica possibilità che abbiamo davanti a qualsiasi forma di inimicizia per vivere in pace. Il dialogo è l’unica via alla pace. Questo anno, in cui ricordiamo gli ottocento anni della partenza di S. Francesco dal porto di Ancona, per incontrare altri mondi, altre religioni e culture diverse, deve aiutarci a camminare sulla via dell’incontro e del dialogo.
Ringrazio il ministro di culto ebraico Nahmiel per quanto ci ha detto e tutti voi per l’attenzione.
Nella tradizione cristiana il libro di Ester è entrato a far parte dei “libri storici” (insieme agli altri scritti che nell’antichità si pensava avessero un contenuto essenzialmente storico, come Tobia o Giuditta, ma il cui genere letterario, viene ora visto in modo differente). Nella Chiesa Occidentale è stato unanimemente considerato canonico, mentre in quella Orientale spesso al libro è stato negato tale carattere (per es., non compare nell’elenco dei libri biblici di Melitone di Sardi, e non è accolto come ispirato da Atanasio e Gregorio Nazianzeno)[2]. Come si dirà più avanti, il libro è quasi completamente ignorato dai padri della Chiesa, che non vi dedicano alcun commento e quasi mai lo citano.
Come molte grandi figure della storia, soprattutto quella biblica, Ester è di umili origini. È un’orfana ebrea, deportata in terra straniera, la cui situazione a un certo punto cambia, in modo sorprendente, radicale: per misteriosa disposizione di Dio diventa la regina di una grande potenza mondiale e in questo suo ruolo influente riesce a salvare il suo popolo dal pericolo della distruzione.
La storia di Ester presso la corte persiana è inoltre paragonabile a quella di Giuseppe in Egitto o di Daniele in Babilonia; la trama in sé non è inedita nella Bibbia, la novità sta nel fatto che qui abbiamo una protagonista donna, cioè che qui le meraviglie del Signore si manifestano con stile femminile.
«Piccola sorgente che divenne un fiume» (Ester 10, 3c), la definisce Mardocheo, suo tutore: metafora suggestiva delle grandi cose realizzate nel silenzio, con tenace soavità. Semplice e limpida, retta e coraggiosa, Ester è la trasparenza del bene dentro un groviglio di intrighi, di gelosie e di odi, di lotte per il potere e di tradimenti. Dapprima scorre umile e nascosta, poi emerge di sorpresa, cresce sicura, fino a travolgere e a sopraffare il male.
La sua storia è riportata nell’omonimo libro biblico che, insieme a quello di Rut e a quello di Giuditta, va a formare una trilogia di racconti sapienziali o storie edificanti che portano il nome di una donna. L’aspetto redazionale un po’ complesso di questo libro di Ester ha avuto come conseguenza che fosse tramandato in due forme diverse: una più concisa in lingua ebraica, l’altra, più ampia, nella versione greca.
La trama si lascia sintetizzare con facilità. Ester vive a Susa, città babilonese, dove il re di Persia usa trascorrere il tempo invernale. È sotto la tutela di un parente, Mardocheo, che «l’aveva presa come propria figlia». Attorno al 480 a.C., durante l’esilio d’Israele, Assuero, il potente re persiano «che regnava dall’India fino all’Etiopia sopra centoventisette province» (1, 1), per sfoggiare la sua ricchezza imbandisce banchetti lussuosi «per tutto il popolo dal più grande al più piccolo» (1, 5). Un giorno, al culmine delle celebrazioni, il re decide di esibire il “pezzo” più prezioso del suo possesso: la sua bellissima regina. Ma, colpo di scena, la regina Vasti si rifiuta di obbedirgli: la donna non si lascia trattare come un oggetto, si ribella allo sfruttamento. Gravemente offeso, il re s’infuria e la ripudia. Vasti esce di scena, in silenzio, ma con dignità. Il suo diniego è una sfida e un’ironia. Il potente Assuero, nonostante tutta la sua strabiliante ricchezza e la sua enorme mania di grandezza, non riesce a piegare la volontà della moglie.
Il ripudio di Vasti segna l’ascesa rapida della “cenerentola Ester”, che diventa la regina amata del grande Assuero e di Mardocheo, il quale entra in servizio nel palazzo. «Di bella presenza e di aspetto avvenente» (2, 7), Ester affascina immediatamente: «Il re si innamorò di Ester: ella trovò grazia più di tutte le fanciulle e perciò egli pose su di lei la corona regale» (2, 17). Ester, in realtà, non aveva mai ambito alla gloria e alla ricchezza di corte, come lei stessa confessa al Signore: «Detesto l’insegna della mia alta carica, che cinge il mio capo nei giorni in cui devo comparire in pubblico» (4, 17v). Ha sempre conservato il suo cuore integro per il Signore: «La tua serva, da quando ha cambiato condizione fino a oggi, non ha gioito, se non in te, Signore, Dio di Abramo» (4, 17). Ora gestisce saggiamente la sua posizione delicata: dimostra una solida personalità capace di abitare due mondi tanto diversi, rimanendo se stessa. La nuova regina non è solo bella e buona, dolce e docile, ma è, soprattutto, uno strumento di salvezza, intelligente e coraggioso, nelle mani di Dio.
Viene a crearsi, nel tempo, un aspro dissidio fra Mardocheo e Aman, un funzionario perverso. Questi, avido di potere, ordisce un piano criminale: eliminare Mardocheo e tutti i giudei presenti nel regno di Persia. Mediante estrazione a sorte, fissa la data precisa dello sterminio. Il complotto è segreto, ma Mardocheo ne viene a conoscenza. Non riesce, però, a fare niente per opporsi a un decreto imperiale già ratificato. Non gli resta che coinvolgere la regina, l’unica che può ancora tentare di fare qualcosa. La contatta, le espone la gravità della situazione, la spinge a impegnarsi, a intervenire, sottolineando la richiesta con parole taglienti, che sono allo stesso tempo stimolo all’azione e chiave interpretativa di tutta la vicenda: «Non dire a te stessa che tu sola potrai salvarti nel regno, fra tutti i giudei» (4, 13). Si tratta di un tema teologico molto importante: il rapporto tra salvezza del singolo e salvezza della collettività. Nessuno è un’isola, neanche nell’esperienza di fede e di salvezza. Non c’è una salvezza egoistica e non c’è un cammino di fede senza amore per gli altri. Con una domanda, Mardocheo, quindi, provoca ulteriormente Ester invitandola a leggere in profondità la propria vita, in particolare la sua inaspettata ascesa al trono: «Chi sa che tu non sia diventata regina proprio per questa circostanza?» (4, 14). Fa emergere in tal modo un altro tema teologico: quello della provvidenza di Dio che tutto dispone secondo un piano misterioso, stupendo, imprevedibile e insondabile.
Ester è posta di fronte a una scelta imprescindibile: rischiare la propria vita per salvare il suo popolo o salvare la propria vita rischiando la distruzione del suo popolo? Senza esitare, con risolutezza, decide la prima soluzione. Si mette a digiuno per tre giorni, coinvolgendo tutto il popolo, poi pronuncia la lapidaria dichiarazione: «Contravvenendo alla legge, entrerò dal re, anche se dovessi morire» (4, 16). Quindi si ritira e prega: con intensità eleva un inno alla potenza e all’amore misericordioso di Dio: «Ricordati, Signore, manifestati nel giorno della nostra afflizione e dà a me coraggio, o re degli dei e dominatore di ogni potere. Metti sulla mia bocca una parola ben misurata di fronte al leone e volgi il suo cuore all’odio contro colui che ci combatte, per lo sterminio suo e di coloro che sono d’accordo con lui. Quanto a noi, salvaci con la tua mano e vieni in mio aiuto, perché sono sola e non ho altri che te, Signore!» (4, 17r-17t). Rinforzata dalla preghiera si alza e, indossati i sontuosi abiti da regina, va ad affrontare il re. Fiduciosa nel Signore e solidale con i suoi connazionali, Ester è pronta a collaborare al progetto divino per cambiare la sorte del suo popolo: «Il suo viso era lieto, come ispirato a benevolenza». Al di là di tanta bellezza, però, sente battere in sé il cuore di una donna semplice e umile, consapevole della propria debolezza, impegnata in un’impresa più grande di lei, per cui «il suo cuore era oppresso dalla paura» (5, 1b). È così che la piccola sorgente emerge dal nascondimento, scorre con sempre maggior forza e decisione, diventa un fiume travolgente.
«Che cosa vuoi, Ester, e qual è la tua richiesta? Fosse pure metà del mio regno, sarà tua» (5, 3). Il re, mosso da sincero affetto e colpito dal gesto coraggioso della sua regina, promette di realizzare ogni suo desiderio. Ester sa agire in modo giusto e al momento giusto, così riesce ad affrontare con saggezza l’emotività del re. Imbandisce ben tre banchetti ai quali invita anche il suo avversario, Aman, che arriva a illudersi di essere entrato nelle grazie del re e della regina. Al terzo banchetto, però, quando la vicenda giunge al culmine del pathos, strategicamente Ester rivela al re il meschino complotto di Aman e il suo piano malvagio di sterminare il popolo ebraico. La storia termina con l’impiccagione del ministro perverso su quel palo che proprio lui aveva fatto innalzare per il suo nemico Mardocheo. Il bene trionfa sul male, dunque, il cattivo subisce l’atrocità da lui stesso preparata per il buono. Il giorno che avrebbe dovuto segnare la fine del popolo di Dio si trasforma così in un giorno di rivalsa. La cattiva sorte è cambiata in buona sorte.
L’avvenimento è così importante che per ricordarlo viene istituita una festa, da allora celebrata con gioia lungo i secoli fino a oggi. È la festa di purim, festa del ribaltamento della sorte, fissata per il 15 di Adar. Pur significa “sorte”: è un termine di origine persiana, successivamente accolto nella lingua ebraica e trascritto nella forma plurale purim. Il senso della festa è ricordare che Dio salva il suo popolo ribaltando le sue sorti. Ed è proprio Ester all’origine di questo ribaltamento. Ester: modello di fede in Dio e di amore per il suo popolo. In una situazione di prepotenza che sembrava inespugnabile, grazie a questa giovane donna, il bene vince il male, la vita rinasce, la gioia rifiorisce sul volto d’Israele. Ester resta nella tradizione ebraica un segno vivo di gioia e di speranza. È lei che riporta la voglia di vivere nel cuore di un popolo devastato e stremato, è lei che sa intuire nelle tenebre fitte il bagliore della luce. È lei la piccola sorgente che sgorga in terra arida.
Ester può essere considerata un paradigma della figura femminile nella Bibbia. Nell’Antico Testamento, nonostante il contesto culturale a esse sfavorevole, le donne non sono invisibili: le madri d’Israele come Sara, Rebecca, Rachele; le donne carismatiche come Miriam, Debora; le donne esemplari come Rut, Ester, Giuditta; insieme a tante altre meno conosciute o anonime, tutte queste donne si presentano interlocutrici di Dio, rivelatrici del suo mistero e collaboratrici nella realizzazione del suo progetto. Soprattutto nei momenti di crisi e d’incertezza, nel tempo in cui bisogna affrontare le sfide più dure, nella situazione in cui si richiede un maggior slancio di speranza, un supplemento di autenticità umana, di radicalità e di eroismo, ecco che Dio agisce per mezzo della donna. La donna emerge nell’Antico Testamento come il luogo dialettico tra la debolezza umana e la forza divina, la prova autentica di ciò che l’essere umano è capace di fare con l’aiuto di Dio.
In mezzo alla schiera femminile emerge Maria, la «benedetta fra le donne», la donna umile in cui Dio opera «cose grandi», la più alta manifestazione dell’identità stessa di una donna: essere lo spazio ideale dove Dio manifesta la sua gloria e celebra la sua vittoria di salvezza. Come Ester e più di lei, Maria guarda con ottimismo realistico la scena del mondo, vive con speranza gli alti e bassi della storia. Ella si fida di Dio, si fida dell’onnipotente che ha fatto e che continua a fare «grandi cose». Con il suo canto del Magnificat Maria annuncia, testimonia e celebra la vittoria di Dio. Il rovesciamento delle posizioni tra ricchi e poveri, tra potenti e umili, tra forti e deboli, è segno e manifestazione di questa vittoria escatologica già presente col farsi uomo del figlio di Dio. Il Magnificat di Maria trascende la gioia di purim, anticipa l’exsultet pasquale celebrando un passaggio, un definitivo ribaltamento della sorte dell’umanità.
Nella storia di Ester e più ancora nel canto di Maria emerge la voce rassicurante di Gesù: «Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!» ( Giovanni, 16, 33).
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